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Pandemia, Brasile peggior Paese al mondo per la gestione

Un gruppo di esperti australiani del Lowy Istitute è arrivato alla conclusione che la Nuova Zelanda è il paese che meglio ha gestito la pandemia Covid-19 mentre il Brasile è ultimo nella graduatoria. È stato valutato l'operato di quasi un centinaio di territori considerando il numero di casi confermati, di morti e di test eseguiti alla popolazione. La Cina non è stata inclusa nello studio.

Il Lowy Institute di Sidney ha pubblicato l'indice di comportamento dei paesi dinanzi alla minaccia di morte del nuovo coronavirus. 98 paesi sono stati valutati tenendo in conto la loro geografia, i sistemi politici, il numero di abitanti e lo sviluppo economico quali punti cardinali per una risposta che in alcuni casi è stata positiva ed in altri è stata la via dell'aggravamento della pandemia.

Inoltre, sono stati seguiti sei criteri, compresi i casi confermati, il numero di morti e la realizzazione di test diagnostici. Il rapporto afferma: "Nell'insieme, questi indicatori mirano a precisare quanto i paesi abbiano gestito bene o male la pandemia".

 

 

In vetta alla classifica vi è la Nuova Zelanda con chiusure di frontiere, "go early, go hard blocchi e regimi di test.

Il rapporto informa che "In generale i paesi con popolazioni più piccole, società coese e istituzioni capaci, hanno un vantaggio comparativo per far fronte ad una crisi globale come una pandemia".

Brasile è in fondo alla graduatoria: occupa l'ultimo posto seguito da vicino dal Messico, Colombia, Iran e gli Stati Uniti. In Brasile si sono registrati oltre 218.000 morti per Covid-19, una cifra soltanto superata dagli Stati Uniti.

Per gli esperti, ciò è dovuto al fatto che durante gran parte dello scorso anno, entrambi i paesi - i più popolati dell'America - sono stati guidati da presidenti nazionalisti che hanno minimizzato la minaccia del virus, hanno ridicolizzato l'uso della mascherina, si sono detti contrari alle chiusure e perfino loro stessi hanno contratto il virus.

Nello studio si è concluso che i livelli di sviluppo economico "o le differenze nei sistemi politici fra i paesi hanno avuto un impatto inferiore nei risultati di quanto solitamente si supponesse".